Ennio Finzi: Opere recenti

Dante Vecchiato Galleria d'Arte, 2000
Testi di Dino Marangon, Giovanni Granzotto

1960-1980: Gli anni della ricerca
di Giovanni Granzotto

Alla fine degli anni cinquanta, Gillo Dorfles, sottolinea l'importanza decisiva del dato percettivo come base di ogni fruizione estetica; deriva infatti da una sua proposta, l'idea ed il progetto di ricucire pittura, scultu­ra, architettura, disegno industriale nel raggruppamento "arti visuali", che farà appunto nascere la defini­zione di pittura, o meglio di "arte cine-visuale". Ed era stato proprio Dorfles che parlando della diversità percettiva nelle varie epoche si era augurato che avesse ancora breve vita il tempo: "di quelle teorie che considerano scissi e incomunicabili i campi dell' estetica da quelli della tecnica, della psicologia, della scienza.
Dalle riflessioni di Dorfles, come ben sappiamo, erano nati, o perlo­meno di quelle riflessioni si erano alimentati, i gruppi milanesi e pado­vani che si nominarono come gruppo T e gruppo N, legati alla Galleria Azimuth, particolarmente attivi pro­prio nella ricerca cine-visuale.
In un contesto di questo tipo, Ennio Finzi, pur senza intenzione di appa­rentamenti e di sodalizi troppo costringenti, decide di affrontare il tema della percezione ottica all'in­terno del cine-visualismo, e vi si immerge, mi pare proprio il termine adatto, con il furore scientifico del ricercatore. Il decennio precedente ci aveva offerto molte sue intuizioni, fra cui una precisa scelta di campo spazialita, e molti annunci, molte anticipazioni, anche qualche tentati­vo abortito sul nascere e qualche pretesa velleitaria, e alcune scelte provocatorie. Certamente alcuni aspetti, perlo meno alcuni segnali di impostazione vicina (oggi si direbbe contigua) al cinetismo, s'erano già potuti rilevare nei lavori di quegli anni, in dipinti come "Ritmi vibra­zioni", "Scale cromatiche" "Verde Rosso" ecc.
E comunque il problema della scan­sione luministica all'interno del siste­ma spazio-colore, era già stato ine­quivocabilmente dichiarato. Ma ora, alla fine degli anni cinquanta, Finzi, secondo il suo imprevedibile proce­dere, senza mediazioni e compro­messi, si tuffa su quell'unico tema, con il solito piglio innovativo e di rottura, ma anche con una capacità di analisi, con una pazienza e dispo­nibilità all'approfondimento, che allora, sarebbe stato difficile imma­ginare albergasse nella sua psicolo­gia. Diventa davvero un ricercatore anche da laboratorio. E, oltretutto, in quel laboratorio lavora per quasi vent'anni, la stagione certamente più lunga fra tutti i suoi periodi . Affascinato com' era dalle nuove offerte coloristiche e luministiche dei neon, dei laser, dalle scoperte, in questo specifico settore, della modernità, decide di farle proprie, comunque di utilizzarle nelle due direzioni fondamentali: come stru­mento per decifrare in maniera più moderna, più aggiornata, in ogni caso alternativa e non convenziona­le, le varie sincronie e distonie, le segrete ricusazioni e le inesplorate capacità espansive del colore; e anche come idea, oggettivamente riconosciuta, di una nuova, innova­tiva tavolozza. Così la luce viene ad occupare una posizione di risalto nella disamina finziana delle poten­zialità espansive del colore. Che, si badi bene, sono le potenzialità non di un pigmento chimico, di una sostanza modificabile, o di un ele­mento decorativo, perlomeno non solo; ma le potenzialità di un univer­so creativo, che per Finzi si identifi­ca e con l'universo delle sue proget­tualità e dei suoi affascinamenti, e con l'universo "tout-court", il luogo degli avvenimenti spaziali luministi­ci, il territorio sconfinato dell' avven­tura estetica. Ecco perchè la luce diventa e un elemento, un aspetto (parziale) di valenza ontolo­gica, e, allo stesso tempo, uno stru­mento di analisi e di conquista di nuove chiarificazioni [...].