Su invito di Nicola Dessy partecipa assieme a Riccardo Licata, Albino Lucatello, Saverio Rampin, Gastone Breddo, Bruna Gasparini e Gina Roma ad una mostra itinerante che durante il 1960 tocca i principali centri della Spagna e della Germania, riscuotendo notevole “successo presso la critica” che sottolinea, “specie nella recensione “Arriba” di Madrid, il contributo importante dato dagli otto pittori all’affermazione dell’astrattismo del quale rappresentano alcune delle più interessanti voci”.
Nello stesso anno, con la moglie Barbara (alla quale si era legato in matrimonio nel 1958) si trasferisce a Mestre, dove apre per un breve periodo un negozio di arredamento. Conosce Dino Gavina (che nel 1960 aveva fondato l’omonima azienda da lui amministrata ma presieduta simbolicamente da Carlo Scarpa), di cui diventa presto amico e che gli propone in esclusiva gli oggetti della sua produzione. Successivamente accetta l’offerta dell’industriale bolognese di trasferirsi a Milano per condurre insieme alla moglie il nuovo punto vendita “Gavina arredamenti”, aperto nel 1961 in via Cerva e allestito dai fratelli Castiglioni.

Nel catalogo della mostra Dino Gavina. Ultrarazionale Ultramobile, emerge il rapporto tra l'imprenditore e l’artista:
Oltre che amico, Gavina è anche un collezionista di Finzi di cui possiede opere a partire dalla fine degli anni ’50, periodo in cui si conobbero, lavorando insieme purtroppo in un momento di grande difficoltà e tensione per Gavina. A Milano e a Venezia frequentarono insieme diversi artisti e architetti, fra questi anche Pier Giacomo Castiglioni e il “paron”, Carlo Scarpa. Fu Ennio Finzi a organizzare la prima presentazione delle collezioni di lampade “Flos” e la mostra “Lamiere” di Lucio Fontana presso il negozio di Gavina, a Milano.
Claudio Cerritelli
Questo pittore autentico, un vero innovatore con un grande senso del colore, è una persona seria che “bada a lavorare”. Anch’egli un grande dimenticato dai “circuiti che contano”: con lui e Barbara, la sua amabile compagna, Gavina condivide una affettuosa amicizia.
Grazie a Gavina conosce e frequenta molti artisti e architetti che gravitano attorno all’impresario bolognese, come Afra Bianchin, il marito Tobia Scarpa e Scanavino; ritrova inoltre Tancredi (che in precedenza aveva ospitato nel suo studio di Palazzo Carminati) e Matta, conosciuto tramite il critico Berto Morucchio nell’ambiente della Guggenheim e del Cavallino; riprende inoltre i contatti con Lucio Fontana che pochi anni prima gli aveva acquistato un quadro all’Apollinaire e diventa amico dei fratelli Castiglioni, in particolare di Achille e della moglie Irma, con i quali assieme a Barbara condivide un lungo e affettuosa rapporto di amicizia. Grazie all’interessamento di Gavina, i suoi quadri vengono nel frattempo collocati in alcuni negozi del gruppo industriale e in altri spazi espositivi di arredo e di design d’avanguardia.
Il trasferimento a Milano viene evocato dall’artista in questi termini:
Si trattava di prendere dimestichezza con una dimensione di vita assolutamente diversa e con responsabilità del tutto nuove. Presi mano al coraggio e mi buttai a capofitto sulla nuova realtà. Fu un’avventura meravigliosa perché mi fece conoscere molti architetti ma ebbi, contrariamente a quanto speravo, poco tempo da dedicare alla pittura perché il lavoro era di grande responsabilità e impegno. Il fatto però di essere a Milano mi faceva sentire felice. Un giorno, dopo una visita serale alla galleria il Naviglio in via Manzoni, Carlo Cardazzo acconsentì di venire a vedere i miei dipinti. Rimase fortemente impressionato a tal punto che mi disse di volersi interessare al mio lavoro. Poi passò del tempo e lui sfortunatamente si ammalò. Come conseguenza cercai allora di impegnarmi completamente nelle responsabilità del negozio.
Durante il soggiorno milanese, la cui durata è verosimilmente da stabilirsi nell’arco di tempo che va dal 1961-62 fino all’incirca la fine del 1964, aderisce sempre più esplicitamente ai modelli pittorici della pura visualità e in ragione di questo suo posizionamento, nel 1962 Carlo Belloli lo indica per un ipotetico “catalogo degli artisti d’oggi impegnati nell’integrazione visuale”:
Ci sembra utile ricordare, ancora, due artisti che operano a Milano nel clima di questa spiritualità ed i cui interessi visuali sembra stiano definitivamente orientandosi: Kengiro Azuma ed Ennio Finzi. Azuma campisce superfici a colori puri, distribuiti in zone rettangolari, che progrediscono in sistemi orizzontali e verticali mentre Finzi persegue ricerche di irradiazioni cromatiche e di espansione-assorbimento di luce-colore in superfici monocrome.
Carlo Belloli
La serie delle dissolvenze cromatiche, cominciata sul finire del 1959 e presentata ufficialmente per la prima volta alla Biennale di San Marino del 1961 con il quadro “Giallo su grigio”, sancisce definitivamente il superamento della fase tattile, delle “tracce” e della concrezione materica dei “cementi”, esaurita la quale Finzi inaugura appunto quella nuova serie che Belloli aveva puntualmente segnalato sulla rivista “Metro” dell’editore Bruno Alfieri all’interno delle “Nuove direzioni della cinevisualità plastica totale”.

Nel settembre del 1961 la Galleria Il Traghetto di Gianni De Marco ospita i risultati delle recenti “ricerche di irradiazioni cromatiche e di espansione-assorbimento di luce-colore in superfici monocrome” alle quali Virgilio Guidi è chiamato per primo a interrogarsi:
Non so per quale economia, ho ridotto oramai il pensiero a impulsi di umore. Mi è difficile ora scrivere anche poche parole sull’opera nuova del Finzi che sono costretto a stimare. Una volta scrissi per lui a lungo, ma erano altri tempi. Qui tutto va svelto. Di questa nuova opera del Finzi si potrebbero dire grosse e ondulatorie parole sulle ragioni per le quali non dovrebbe stare così persistentemente ai lati di tante esperienze e faccende estetiche.
Virgilio Guidi
Posso dire che le sue opere mi hanno sollecitato riflessioni su problemi fondamentali tra i quali, “lo spazio” e il “senso della pittura”. Pertanto esse non appartengono all’“apparenza” spaziale così in voga. Che esse siano nell’“attualità” o prima o dopo non so. C’è una giovane critica che, chissà per quanto tempo, sarà fissata sull’attualità di De Buffet il quale, tuttavia, è una grossa figura.

Nel 1964, in occasione della personale alla Galleria Gritti di Venezia, Toni Toniato elabora un discorso ampio e circostanziato sull’attività pittorica svolta dall’artista nel decennio precedente rilevando come i lavori di quel periodo “tenevano conto del luminismo epifanico di Guidi, ma anche della libertà inventiva di Fontana, entro questi poli scorreva appunto la sua fantasia cromatica, portata a strumentare il colore puro come funzione vitale”. Mentre “le ricerche più recenti dal ’59-’61 testimoniano con legittima evidenza il diverso traguardo del suo lavoro […] Si trattava cioè di riprendere il proprio autentico discorso, di approfondire la dialettica percettiva di quella sua fenomenologia spaziale”.
Nel 1964 Finzi e la moglie si trasferiscono a Sanremo dove risiedono ininterrottamente fino al 1968 e dove l’artista esercita per un certo tempo l’attività di decoratore di pannelli in stile fiammingo presso la ditta Klipper.
La scelta di allontanarsi da Milano e di confinarsi in un luogo periferico e lontano dai principali eventi artistici limita la sua presenza a pochissimi eventi espositivi. Tra questi merita ricordare l’importante mostra organizzata da Carlo Belloli a Milano nel 1964 presso la Galleria Lorenzelli sui “44 protagonisti della visualità strutturata”, che ambiva a costituire quel “catalogo degli artisti d’oggi impegnati nell’integrazione visuale” anticipato dallo stesso critico e poeta futurista nello scritto su Metro del 1962.
Nel 1967 prende parte alla mostra itinerante “ipotesi linguistiche intersoggettive” curata da Lara Vinca Masini e suddivisa in tre sezioni: Arti figurative, Musica elettronica programmata e Poesia concreta. Si tratta della più completa e organica analisi realizzata a quel tempo “come testimonianza attiva di una stessa area artistico-culturale sia per i fatti ottico-percettivi e visuali che per i fatti sonori, e per le manifestazioni che si definiscono di “poesia concreta”.


Su sollecitazione di Eugenio Battisti dona un’opera (“Rosso su rosso”, 1964) al costituendo Museo sperimentale d’arte contemporanea di Torino curato da Germano Celant e Aldo Passoni e ospitato come sezione autonoma all’interno della Galleria Civica d’Arte Moderna.
Sempre nel 1967 partecipa alla realizzazione di una cartella litografica del “Raggruppamento artisti veneziani”, con i quali espone alla Galleria del Cavallino a Venezia, alla Chiocciola a Padova, all’Argentario a Trento, a La Cappella a Trieste e alla Galleria d’Arte Moderna di Lubiana. Nel corso del 1968 vengono inoltre stampati tre soggetti a stampa calcografica in 25 esemplari.

Nel 1969 esce l’importante monografia a cura di Toni Toniato e del critico e storico dell’arte triestino Umbro Apollonio, principale sostenitore dell’arte cinetica e programmata in Italia. La sua indagine critica parte da un elemento fondamentale e consiste nel riconoscere in Finzi alcuni elementi di anticipazione, peraltro precocissimi, della pittura gestaltica:
Quando Finzi, fra il 1952 ed il 1953, creava i suoi ritmi di luce oppure le sue figure cromatiche (“verde su rosso”, “rosso su verde”) vigeva ancora, e con insospettata autorità, il programma dell'astratto-concreto o dell'astrattismo lirico, mentre gli annunci dell'informale si facevano via via più frequenti. Allora le ricerche di indole costruttivista o percettiva non riscuotevano particolare interesse e passavano per lo più inosservate. Finzi si trovava perciò nel più distaccato isolamento e l'esperienza che andava compiendo richiedeva tanto maggiore tenacia. Fu tale, anzi, il ritiro, che un dato momento lo si ritenne scomparso; io stesso, che ne avevo apprezzato in tempo i lavori e presentato una personale a Venezia, non seppi nulla di lui per quasi un decennio, salvo qualche vaga notizia riportata da amici, per la quale risultava vivente, e qualche raro accenno di Belloli, per il quale risultava anche attivo. Non aveva infatti mai smobilitato con tutti i sacrifici impostigli: aveva continuato a starsene in disparte, senza far lega con compagnie buone o cattive, e mantenuto fede al suo lavoro non che alle premesse da cui era partito. Adesso, che lo si è ritrovato, si presenta sicuro come allora e con un corredo di dipinti che ottimamente gioca la partita in cui è ingaggiato lo schieramento più progressista della cultura odierna.
Umbro Apollonio
tale ragione Ennio Finzi
può tranquillamente menare vanto d'essere in Italia una delle presenze più anziane per stato di servizio, e delle meno compromesse con precedenti divagazioni così com'è tra le più fedeli ad un ordine di stretta osservanza pittorica. Per questo egli va annoverato fra quei sintomi forieri che importa siano ricordati.
Umbro Apollonio
Il ponderoso testo di Toniato mira invece a scandire ogni singola tappa del percorso dell’artista, dai primordi degli anni cinquanta – in quella fase in cui “si incrociano più scopertamente i motivi dello spiritualismo epifanico di kandinsky, con lo sperimentalismo teorico di Mondrian nell’analisi di una assoluta strutturazione plastica” - fino ai risultati di una spazialità strutturata e geometrica ottenuta tramite “la frammentazione cromatica dei segmenti e delle figure luminose”, così da ottenere “una funzione stereoscopica che altera la tessitura costruttiva della superficie in un processo continuo di mutamenti e sovrapposizioni, di rimandi e convergenze ottiche, di dinamica vibratoria”.
Il catalogo viene edito dalla Galleria Il Traghetto di Gianni De Marco e presentato a settembre del 1969 con una mostra personale.