Il 1986 si apre con una “mostra-lezione” a Cà Bernardo sede del Dipartimento di Storia e Critica delle Arti dell’Università Cà Foscari di Venezia, diretto da Giuseppe Mazzariol. Ad inquadrare storicamente l’artista è chiamato Toni Toniato che riepiloga i momenti più decisivi della vicenda artistica di Finzi, sostenendo che “se lo Spazialismo giunge a Venezia attorno al ’53-’54, Finzi consegna dei dipinti che rappresentano dei reperti attorno ad alcune problematiche dello Spazialismo, che sono di estrema anticipazione, già nel ’51-‘52”.
Finzi, dal canto suo, rivela agli studenti e forse pubblicamente per la prima volta, il suo essere creativamente indotto da un principio di contraddizione, e di aver “tentato sempre di fare una sorta di massacro” dei suoi desideri. Non a caso Mazzariol definisce l’artista “temperamento problematico, e forsanche lunatico, incline a lasciare aperte le questioni di fondo con soluzioni provvisorie di una raggelata eleganza”, aggiungendo inoltre
la sua pittura non è mai stata usuale, è sempre stata una pittura incentrata su una ricerca con anticipi talvolta perfino incomprensibili oggi, guardando a ritroso il percorso dell’artista, e allora era una pittura che imponeva un tipo di intelligenza critica di elezione.
Giuseppe Mazzariol
La sfida estrema verso l’impulso cromatico porta Finzi a interrogarsi sulla negazione stessa del colore: tra la fine del 1984 e il 1986 darà infatti corso ad una importante serie di opere intitolate di volta in volta “ideoiridescenza”, “ideocromo”, “ideoluce” e “neroiride” sulle cui superfici, totalmente oscurate da un nero opaco altrimenti opaco-lucido, compaiono spot accecanti di luce oppure transitano “ardenti impulsi cromatici, squarci su universi di colore folgorante”.
Tutto il corso del 1986 è dedicato alla diffusione di questo ciclo di opere a partire dalla Galleria Il Sole di Bolzano, la Tommaseo di Trieste, Il Traghetto di Venezia, La Borgo di Treviso e la Meeting di Mestre. In occasione della mostra del Traghetto, mostra nella quale l’artista presenta soltanto quattro opere di grande formato, viene edita una monografia con i testi di Mazzariol e Toniato.
Nel 1985 Toni Toniato viene incaricato dal Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia di elaborare un progetto espositivo per la Sezione Italiana. Il progetto prevedeva una sala personale a “un numero massimo di otto o dieci artisti” tra i quali Finzi, Cucchi, Merz, Boetti, Spagnulo, Pistoletto, Spoldi e Ceccobelli; i quali corrispondevano, “per certi riscontri operativi, alle relative tematiche svolte dalla rassegna di inquadramento storico generale (dall’alchimia all’antropologia, dall’ottica alla fisica, alla matematica).” Pochi mesi prima dell’inaugurazione della Biennale del 1986, Toniato viene esautorato dall’incarico e il suo progetto annullato.

Finzi viene “risarcito” con l’invito alla Biennale nella “Sezione Colore” coordinata da Attilio Marcolli, nel segmento intitolato “Il trauma visivo. Arte programmata, cinetica, optical” assieme a Vasarely, Tomasello, Bury, Cruez-Diez, Mavignier, Morellet, Agam, Le Parc, Anuszkiewicz, Sedgley, Costa, Biasi, Colombo, Varisco, Devecchi, Alviani e al gruppo MID.
In concomitanza con la Biennale veneziana, la Fondazione Bevilacqua La Masa allestisce una mostra dal titolo “La scienza dell’arte” curata da Manlio Brusattin, Giorgio Cortenova, Filiberto Menna e Vittorio Sgarbi e alla quale Finzi partecipa con la serie degli “ideocromo” originariamente destinati alla sala personale della Biennale.
Sulla scia della Biennale veneziana e del rinnovato interesse per l’arte cinetica e programmata, Attilio Marcolli viene incaricato di dirigere la IV Biennale d’Arte Contemporanea “Arte-Costruzione” di Marostica coadiuvato dal filoso Hans Heinz Holz e dai critici Giuliano Menato e Giorgio Segato. Mentre gli artisti invitati, da Gianni Colombo a Manfredo Massironi, da Marcello Morandini a Gianfranco Pardi, da Grazia Varisco a Mary Vieira Belloli, presentano le loro opere di ambito neo-costruttivista e razionalista, Finzi continua la sua indagine sui neri “massimamente ricercati sul filo dell’idea di vuoto, di spiazzamento”.

Il 14 marzo del 1987 a Palazzo Forti di Verona si inaugurano contemporaneamente le mostre dedicate alle opere inedite di Finzi e Tancredi, proprietà della famiglia Arduini. Si tratta di 92 opere di Tancredi e 42 di Finzi acquistate negli anni cinquanta da Attilio Arduini, l’imprenditore mecenate. La mostra è introdotta a catalogo da un testo di Giorgio Cortenova, direttore della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Palazzo Forti e da Toni Toniato il quale si produce in un lungo saggio capace di ripercorrere ogni singola tappa del percorso ideativo e stilistico dell’amico artista.
Nell’estate del 1987 la Fondazione Bevilacqua La Masa inaugura la mostra “Spazialismo a Venezia, avviando in questo modo una prima ricognizione storica sui fatti e le figure del movimento spaziale veneziano.
Se il preambolo dell’esposizione è dedicato a Fontana e ad “altri protagonisti” di area (soprattutto milanese) centrale è l’interesse per il gruppo di artisti veneziani firmatari dei diversi manifesti dello spazialismo; Guidi, De Luigi, Bacci, Morandis, Tancredi e Vianello. Un capitolo ulteriore viene dedicato alle “ricerche parallele” a coloro che “fra il ’47 e il ’58, anno in cui si concludono le esperienze del gruppo spaziale, per tangenze o in parallelo con gli spaziali, operavano in quegli anni nell’ambiente veneziano”. In questo gruppo figurano le posizioni di Finzi (di cui vengono esposte due grandi opere del 1954 e 1956), Gaspari, Gasparini, Licata e Rampin.

Se la mostra veneziana conferisce al movimento spaziale e ai suoi protagonisti un ruolo fondamentale nell’ambito dell’arte e della cultura italiana del Novecento, nel 1988 Giorgio Cortenova e Filiberto Menna, con l’idea di ripercorrere e identificare le diverse tappe dell’esperienza pittorica astratta in Italia, dal dopoguerra alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, danno vita alla mostra “Astratta”, un progetto espositivo da compiersi in due tappe, Verona e Torino, con lo scopo di evidenziare i principali eventi e protagonisti del secondo Novecento. “Molta Roma, molta Venezia, poca Milano”, scrivono i curatori relativamente alla prima sezione della mostra, dove Finzi, con due opere degli anni cinquanta, è protagonista di quel contesto: “Una scelta di per sé stessa chiara: ci sono i membri di Forma 1, i reduci della diaspora del Fronte nuovo delle arti; altri (Capogrossi, Scialoja) provenienti dalla determinante frequentazione delle scuole romane. C’è Fontana apparentemente isolato; ma la fitta presenza di veneziani (De Luigi, Finzi, Tancredi oltreché Vedova e Santomaso) ne esalta la lezione e ne riconosce la centralità”.
Nel corso del 1988 conduce ulteriori ricerche sulla serie degli “Ideocromo”, sperimentando le possibili variazioni del nero su supporti prevalentemente leggeri, carte lucide e cartoncini “bristol” opachi, esposti in tre distinti momenti a Fabriano, Treviso e Mestre con una breve autopresentazione:
Presento alcuni fogli sui quali intendo raccontare su scala minimale, possibili intenzioni del colore, secondo il gusto di valori timbrici appena accennati, quasi taciuti. Sono fogli pensati sul nero e per il nero, non certo per negare alla luce il proprio splendore, ma per cercare, attraverso l’incanto di una sospensione, una luce mai svelata, interiore, mentale. Sono immagini, che vogliono essere ascoltate con lo sguardo più al di qua delle palpebre come in un luogo in penombra e di annunciato silenzio.

Tra aprile e maggio dello stesso anno espone a Palazzo Massari, Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara, nel contesto della Galleria d’Arte Moderna Palazzo dei Diamanti, una serie di opere su tela, per la maggior parte realizzate nel 1987, che diventano “parabole del colore sul colore, orbite di incandescenza del nero: infinito opaco infinito lucido in continua reciproca trasformazione.”
Nel corso del 1988 il valore assoluto del “nero” viene messo in crisi, compaiono le prime opere con inserti a fasce di colore rosa, “uno spiraglio verso la luce” le definisce l’artista esponendole l’anno successivo in occasione della mostra “L’occhio della Galleria”, organizzata nelle sale della Fondazione Bevilacqua La Masa, di fatto una ricognizione sulla situazione artistica esistente nel contesto veneziano di allora attraverso le gallerie “Capricorno”, “Cavallino”, “Meeting” e “Totem-Il Canale”.
A giugno del 1989 vince il primo premio assoluto del Premio nazionale Murano, realizzando il bozzetto dell’opera poi eseguita dal maestro vetraio Pino Signoretto, tra i più importanti interpreti contemporanei dell’antica arte muranese. La giuria, presieduta da Archimede Seguso e composta dal maestro vetraio Alfredo Barbini, il direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Nedo Fiorentin, il direttore dei Musei Civici Giandomenico Romanelli e della collezione Guggenheim Philip Rylands, assegna 5 milioni di lire per ciascuno dei vincitori.
