Nel 1980 il Comune di Venezia lo omaggia con una esposizione antologica nelle sale della Galleria Bevilacqua La Masa. Finzi sancisce simbolicamente la fine della lunga stagione “optical”; occasione questa per un bilancio e per ripensare al suo lavoro – come sostiene Toniato - in “una prospettiva ormai storica”.

Per volontà dell’artista il catalogo non presenta testi critici ma una lunga “intervista sulla mostra”, con l’amico Toniato. Entrambi riconoscono che l’area della visualità pura nella quale Finzi è registrato come un protagonista (“tuttavia molto singolare perché legato ai mezzi propri della pittura”) “sembra svolgere un ruolo meno determinante sulla cultura artistica contemporanea, almeno rispetto a quindici o dieci anni fa”, ciononostante le proposte omologanti che in quel frangente di tempo trovano voce nella transavanguardia sono a suo avviso “lo sbracamento prodotto dall’ecclettismo, da un estetismo consolatorio ma di fatto cinicamente indifferente nella sua totalizzante spregiudicatezza”. Perciò, si domandava Finzi con parole che risultano ancora oggi attuali:
quale sarà la prossima insegna? L’Antiarte o la non arte, il bisogno dell’espressività nell’indistinzione dei valori? O soltanto il mercato, il consumo come unico valore? L’ufficio delle omologazioni è compito demandato istituzionalmente alla critica e al mercato, ambedue impegnati a promuovere la domanda, oggi piuttosto inesistente, dietro motivazioni non sempre coerenti, anzi contrastanti, conta, principalmente, rinnovare la produzione. Ma quegli artisti che hanno lavorato in profondità, che hanno agito, questa volta, si, con radicalità estrema all’interno di una propria ricerca, dovranno essere liquidati? Mirò è meno artista oggi di ieri? Oppure Burri attualmente è fuori giro? Max Bill non interessa più? Eppure la loro tenuta resta incontestabile.
Pur essendo il 1978 uno spartiacque creativo entro il quale si consuma la cosiddetta stagione “optical”, nelle esposizioni personali e collettive successive a quella data, Finzi è necessariamente costretto a ricorrere a quei lavori: accade nel 1980 a Milano per la mostra di “12 operatori plastici del gruppo di Arte Struktura” curata da Belloli e nel 1981, sempre a Milano, con la personale alla Galleria Seno, dove a catalogo viene riproposto il testo che Apollonio - scomparso proprio in quell’anno - aveva scritto nel 1975. In ideale accordo con il critico e storico dell’arte triestino, Finzi presenta i risultati complessivi dell’indagine percettivista, includendo alcune “scale cromatiche” degli anni cinquanta, le “strutture-progetto” e poi “vibrazione” degli anni sessanta e settanta fino agli esiti “cromoplastici” delle recenti “scale transcromatiche”.
Dal 1979 circa interrompe momentaneamente di dipingere e per un certo periodo (all’incirca due anni) si dedica soltanto a semplici elaborazioni grafiche su carta: tramite il segno, il punto, la macchia di colore, riscopre in questo modo una nuova gestualità espressiva, intenzionalmente “superficiale” e disimpegnata.
Con l’avvento della transavanguardia, della nuova figurazione, mi trovai in crisi intensa. Avevo la sensazione che si volesse a tutti i costi tornare indietro e questo mi produceva e produce tuttora un grosso problema psicologico. Continuare sui progetti cinetici non aveva più senso, anche perché mi sembrava di aver scavato a sufficienza. Deposi le “armi”. Presi in mano carta e matite e diedi libertà a questo tipo di malessere. Voleva dire produrre un segno che avevo già superato anni prima, voleva dire non dare seguito a quelle piccole conquiste che mi sembrava di aver ottenuto durante il “cinetismo”. Esternavo delle emozioni. Emozioni che non ero abituato a esternare perché negli anni precedenti erano assolutamente controllate, erano emozioni a livello di progetto e sappiamo che il progetto ammette tutto meno che il sentimento. Poi, a forza di avere in mano i colori mi è rinata la voglia di dipingere. Ho lasciato i pastelli e i fogli di carta per riprendere i colori acrilici. Ho dato avvio a una nuova ricerca sulla libertà della pittura e dato che la trans predicava libertà anche sgrammaticata - quella che poi io ricercavo negli anni ‘50 - ho dato avvio a questa carica di colori assolutamente liberatoria.
Sul finire del 1981 espone i recenti risultati dei suoi lavori su carta alla galleria il Traghetto dell’amico De Marco presentato da Toni Toniato, il quale scrive che con queste prove Finzi ha liberato
potenzialità latenti, inaugurando così una fase più complessa del suo lavoro creativo, giunto invero a un punto di estrema esattezza formale, culminante in una capacità analitica di per sé assoluta. Già in passato Finzi aveva alternato esperienze in apparenza di senso diverso: rigore strutturale da un lato, libertà inventiva dall’altro, polarità peraltro costanti nella sua storia.
Toni Toniato
Gli stessi soggetti sono poi esposti nel 1982 ad Arteder di Bilbao, mentre con il titolo “Simboli-percezione” vengono presentati alla galleria d’arte moderna Dino del Vecchio di Monopoli, dal sacerdote filosofo e poeta Agostino Bagordo che li definisce “idioma di arabeschi”. Con la collaborazione del Centro internazionale della grafica di Venezia, alla cui scuola Finzi darà il suo contributo come docente di disegno, nell’autunno del 1983 Enzo di Martino organizza una mostra di soli pastelli ad olio nelle sale della parigina bimc-galerie.
Sul finire del 1983, espone opere inedite su tela e una serigrafia realizzata da Fiorenzo Fallani alla Galleria il Traghetto di Venezia.

In seguito alla morte di Virgilio Guidi, avvenuta il 7 gennaio 1984 la Galleria l’Argentario di Trento, su iniziativa di Ines Fedrizzi e il contributo di Gianni de Marco e Toni Toniato rende omaggio al maestro romano con una mostra le cui opere vengono esposte assieme a quelle di Licata, Tramontin e Finzi.
Nella primavera del 1985 è invitato alla mostra collettiva “A come Amore” per la Fondazione Bevilacqua di Venezia con delle opere che vorrebbero rappresentare, come spiega in una lunga intervista, “l’immaginazione spazio-temporale della nascita delle cose, una genesi del creativo”.