Con la “trilogia artistica” realizzata dalla Galleria Tommaseo di Trieste nei mesi di aprile e maggio del 1990 - da cui ha inizio la lunga collaborazione critica con Dino Marangon - si propongono in tre diversi momenti espositivi le tre dimensioni creative dell’artista: quella dell’astrattismo informale degli anni cinquanta, del gestaltismo anni sessanta e settanta, e la più recente, nella quale i vivaci rosa, gialli, marroni e neri, si sequenziano in un processo ideativo e costruttivo sempre nuovo. Nel corso dello stesso anno espone questo ultimo ciclo alla Galleria Civica Palazzo Todeschini di Desenzano del Garda.
Tra le mostre collettive del 1990 si ricorda l’esposizione curata da Giuliano Menato alla Galleria Civica di Montecchio Maggiore, a cui partecipano Carmi, Finzi, Onorato e Vago, e la LX Biennale Nazionale d’Arte di Verona allestita a Palazzo della Gran Guardia, affidata a Enrico Crispolti, Giorgio Cortenova, Toni Toniato e Luciano Caramel. Ciò che accomuna gli artisti invitati è l’aver sviluppato un percorso estetico e ideativo divergente, “irrituale”, lontano quindi dal consenso e da ogni forma di omologazione. Finzi espone due grandi opere, tra cui “Neroiride” del 1986, poi acquistato dalla veronese Paluani.

Sul decennio appena trascorso Crispolti dirà che a suo modo,
anche Finzi, a Venezia, lungo gli anni Ottanta è venuto a porre in causa in termini di accelerazione emotiva dell’evento luminoso i modi della molto personale ricerca pittorica analitica di fenomenologie di evenienti strutturazioni cromatico-luminose condotta negli anni Sessanta e Settanta. Fino a spostare in quale modo il referente dell’evento cromatico-luminoso ad un elemento prevalentemente cromatico, sempre luminosamente comunque risonante nella contestualità di campo, in ampie regolari zonature della superficie pittorica appena incrinate da interventi di scrittura segnica. In una attivazione di pura emotività percettiva.
Enrico Crispolti
Nel ripensare ulteriormente al colore come indirizzo fondamentale del suo dipingere, pur mantenendo intatto il controllo delle campiture nere dislocate in superfici austere, nel 1991 presenta alla Galleria del Cavallino un breve ciclo denominato “I versi del colore”, locuzione poi largamente adottata negli anni successivi a quella mostra.

Galleria del Cavallino, I versi del colore, 22 febbraio – 28 marzo 1991. Foto Fasolo, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Fondo Cardazzo
L’anno seguente, rinunciando volutamente alla diversificazione degli effetti cromatici (i gialli, gli aranci, i viola affioranti), intacca l’opacità totalizzante del nero permutando il colore in placche argentee, “impercettibili insulae prodotte dal vario e modulato ispessirsi dei pigmenti, dalle lucide intensificazioni delle vernici”, così come avviene per la serie “inattesadititolo” presentata da Dino Marangon nella Galleria Argentario di Ines Fedrizzi a Trento.
Con “Verso la luce” del 1990 e “Senza titolo” del 1955, nel 1991 partecipa a due importanti mostre collettive organizzate dalla galleria Fidesarte di Mestre, che vedono assieme le opere del gruppo Cobra, di Moreni, Perilli, Scialoja, Tancredi, Hartung, Mathieu, Santomaso, Scanavino, Fontana, Vedova e altri. Si intensificano quindi i rapporti commerciali con Vito Trevisan che rappresenta il suo lavoro alle principali fiere d’arte, non soltanto italiane, come ChicagoArt e ArtMiami. Nel frattempo, a seguito del congedo di Carmelo Zotti dall’Accademia di Belle Arti di Venezia, dal 1990 affianca Riccardo Guarneri alla medesima cattedra di pittura.

Con Riccardo Guarneri, Venezia, anni novanta
Il 9 novembre del 1992 scompare improvvisamente il gallerista veneziano Gianni De Marco e il Traghetto chiude la sua attività espositiva con una ultima mostra dedicata alle opere su carta di Ennio Finzi. Sul finire di quell’anno anno è presente al Museo d’Arte Moderna di Cà Pesaro nella mostra “Da Boccioni a Vedova”, a cura di E. Di Martino. È inoltre per la seconda volta invitato a Cà Bernardo, sede del Dipartimento di Storia e Critica delle Arti dell’Università Cà Foscari di Venezia, per una “mostra-seminario” la cui introduzione è affidata a Fernando Mazzocca e Dino Marangon.
Nel 1994 alla Galleria Meeting di Mestre e ad Artefiera Bologna presenta una cartella di grafica intitolata “L’oscurità della luce” introdotta da un testo di Ernesto L. Francalanci. Nel dicembre del 1995 appare in copertina sulla rivista Euro News del Gruppo Euromobil; contestualmente l’azienda trevigiana dei fratelli Lucchetta gli dedica il calendario 1996, realizza una cartella di grafica come strenna natalizia per i propri rivenditori, e contribuisce a realizzare la mostra dedicata alle opere degli anni cinquanta alla Galleria Sagittaria di Pordenone.
La Galleria Fidesarte edita l’importante monografia Ennio Finzi. Opere 1951-1958 curata da Dino Marangon e Luciano Caramel. Riprendendo la locuzione di Crispolti per la Biennale veronese, anche quest’ultimo pone l’accento sul tema dell’irritualità, sottolineando inoltre che “l'indubbia parteci-pazione di Finzi alla temperie informale” è stata tra “le più precoci in Italia”. “Spicca peraltro”, scrive il critico comasco:
Lo scarto, netto, dichiarato (questo vuol significare il ricorrente titolo Antipittura) da un dipingere che con efficace quanto impietoso termine francese si suole chiamare “cuisine”: un dipingere fatto di eleganze, gustosità, d'un manierismo spesso ai limiti del manierato, con radici anche nostrane nella tradizione accademica ed in una predisposizione tutta italiana all'eleganza e all'armonia, che in quel secondo dopoguerra era incoraggiato e aiutato dalle fortune di certo postcubismo, e poi tachisme, transalpino. Che Finzi - rara avis - contrasta. Anzi neppure mostra di avvertire. Di qui, anche, la preferenza medesima per la tempera, piuttosto che per l'olio, nonché quella, collegata, per i colori timbrici, e poi per gli effetti fluorescenti, entro una dominante “artificialità”, se così si può dire, che sempre innerva il fare dell'artista veneziano.
Luciano Caramel
La fortuna critica della sua opera “anni cinquanta”, cominciata a partire dalla mostra con Tancredi a Palazzo Forti nel 1987, contestualmente alla prima ricognizione storica alla Fondazione Bevilacqua La Masa sullo spazialismo veneziano, prosegue nel 1996 con l’esposizione di Luca Massimo Barbero alla Basilica Palladiana di Vicenza. In quella sede, lo storico dell’arte torinese ma veneziano d’adozione, presenta un’ampia documentazione sul tema dello spazialismo e l’arte astratta a Venezia tra il 1950 e il 1960, includendo due grandi opere di Finzi ispirate dalla musica jazz (“Ascendenza jazz” del 1953 e “Timbrica jazz” del 1956) e quattro acquarelli inediti del 1955.
Barbero, che a partire da questa mostra diventa uno dei più sinceri sostenitori del lavoro dell’artista, si spinge giustamente ad osservare come l’ambito cittadino veneziano riconoscesse allora il giovane Finzi “come il punto d’arrivo di tutte le ricerche recenti”:
Se da un lato opere come Germania 44 partecipano al clima che ha il suo corrispettivo gestuale in Vedova – con cui l’artista collabora per un periodo – è pur vero che il modo pittorico e la concezione spaziale di Finzi vive di sonorità cromatiche del tutto originali nell’ambito cittadino. Difatti, alla concezione astratto-musicale delle “avanguardie classiche” Finzi integra una sorta di “allargamento” sia compositivo che segnico. L’idea di uno spazio ove “accada” un fenomeno in traduzione cromatica vince grazie all’introduzione di nuovi colori dal timbro estremo, quasi fluorescente e dalla valenza tanto “artificiale” quanto concettuale.
Luca Massimo Barbero

Per il successivo evento in Basilica, Barbero progetta una mostra integralmente dedicata al “monocromo bianco; pertanto, accanto alle opere di Fontana, Scarpitta, Perilli, Savelli, Bonalumi, Manzoni, Scheggi, Lazzari, Castellani, Viani, Mauri e Turcato, inserisce “Bianco su bianco” del 1959. Manifesta inoltre l’interesse per i lavori più recenti dell’artista, che presenta in due distinte esposzioni personali: nella primavera del 1997 alla San Gregorio Art Gallery di Venezia, successivamente e contestualmente all’uscita del volume di opere su carta “I versi del colore”, alla Fidesarte di Mestre.

Con Armando Pizzinato e Luca Massimo Barbero, San Gregorio Art Gallery, Venezia, 1997
Nel testo a catalogo Barbero sottolinea come:
Queste carte ripropongono il magistrale ed infinito affiorare del "suono pittorico" nella sua libertà, presentando il foglio di carta come un "non Luogo" sognato. In uno spazio rinnovato l'artista si può permettere di evocare un suono, stimolare una fonte di luce, "affogare" un segno tramite la materia, librare una traccia nera come una stoccata di fiamma. Sono infatti queste "variazioni libere" che si rincorrono e richiamano in un contrappunto paradossalmente privo di schemi metrici e legato soltanto dallo sperimentare la pittura come territorio sterminato.
Luca Massimo Barbero
Nell’estate del 1997, esce un’ampia intervista rilasciata a Luca Massimo Barbero per la rivista “Nexus”, dove Finzi polemizza aspramente verso ciò che succede o meglio “non succede” nella sfera dell’arte dell’ambiente veneziano.
Luciano Caramel promuove alla galleria Morone di Milano la mostra personale Segni e non sogni. Gli anni cinquanta, mentre con I segni e i colori della geometria Diego Collovini reintroduce a Portogruaro - all’interno di una ristretta e mirata indagine nell’ambito del razionalismo anni sessanta e settanta (Alviani, Bottecchia, Ciussi, Colò, Pope) – un’opera di matrice gestaltica risalente al 1971.
Sempre a Portogruaro Collovini presenta allo studio Delise “Una stagione di colore”, programma in quattro tempi dedicato alle opere recenti di Finzi, Olivieri, Fusi, Sermidi e Garbellotto. Nel corso del 1998 esce per Luni editrice il fondamentale saggio Astrazione oggettiva di Giovanna Nicoletti in cui si ricostruiscono le vicende che hanno segnato l’attività dell’omonimo gruppo di artisti trentini (Schmid, Senesi, Cappelletti, Mazzonelli e Pellegrini). L’autrice individua nelle “Scale cromatiche” risalenti agli anni cinquanta, l’anticipazione dell’operazione analitica sviluppata in seguito da Schmid e Senesi. A tale riguardo anche Enrico Crispolti, in La pittura in Italia. Il Novecento, sottolinea che,
Una libera tangenza almeno con l’ambito della ‘Nuovo pittura’ non può non riguardare il lavoro di Finzi, tutto sommato solitario, e interessato già negli anni Cinquanta al rilevamento di frequenze luminose e correlate scale cromatiche, nonché alla registrazione immediata di vibrazioni di “ritmi luce”, in un lirismo analitico e logico particolarissimo. In qualche modo ordinatosi, nei primi anni Sessanta e lungo questi, in effetti prossimi all’ambito “optical” (ma sempre interamente pittorici). Per riproporsi all’inizio dei Settanta in vibrazioni dinamicamente trascorrenti, giocate sul rapporto cromatico più semplice, nero-bianco, nero-rosso, […]. Una ricerca personalissima e fortemente radicata e da lontano motivata, che attraversa gli anni della ‘Nuova pittura.
Enrico Crispolti
Con il coordinamento di Claudio Cerritelli l’Accademia di Brera celebra a Milano, con una mostra di carattere storico e retrospettivo, l’imprenditore e designer emiliano Dino Gavina. A Finzi viene dedicata una pagina del catalogo accanto a quelle di Fontana, dei fratelli Castiglioni, di Carlo e Tobia Scarpa, i cui testi sono redatti dallo stesso Gavina.
Su richiesta di Marco Goldin dona “Il canto sospeso” (1996) per il costituendo museo d’arte contemporanea di Palazzo Sarcinelli a Conegliano Veneto. È inoltre presente nella mostra sull’“Arte del XX secolo nelle collezioni private vicentine”, curata da Luca Massimo Barbero in Basilica Palladiana a Vicenza, con “Architetture del colore in arancio” (1995).